1914 – 1918 UNO SGUARDO DAL LITORALE
Dolina nel centenario della Prima Guerra Mondiale
Bagnoli della Rosandra - Boljunec 74 – Dolina (Trieste)
LA GUERRA IN MONTAGNA Mai prima
e mai dopo. Queste parole sintetizzano la realtà del fronte
alpino della prima guerra mondiale. Mai prima si videro
imponenti masse d’uomini concentrate in un solo scopo: rendere
accessibili e quasi vivibili luoghi ben oltre i 3.000 metri di
quota al solo fine di potervi combattere. E mai dopo, anche se
rari episodi ci furono, ma limitati a singoli reparti e per
brevi periodi come per esempio la incruenta conquista
dell’Elbrus, m. 5.319 da parte tedesca nel 1942 protrattasi fino
al 1943, anno nel quale tutto il Caucaso venne abbandonato dagli
occupanti. L’unica autentica guerra in montagna successiva al
1918 è quella tra l’India e il Pakistan, il conflitto detto del
Siachen combattuto tra il 1984 e il 2003 nella zona dell’omonimo
ghiacciaio sito nel Karakorum, vasto oceano di ghiaccio che
separa la Cina dall’India chiamato anche terzo polo, a quote che
vanno dai 3.620 metri ad un massimo di 5.753; questa guerra,
anche se silente, è ancora in corso. Sebbene combattuto a bassa
intensità, il conflitto è stato costoso per entrambe le parti:
sia l'India che il Pakistan hanno rifiutato di emettere cifre
ufficiali, ma le stime contano tra i 2.500 ed i 5.000 caduti
complessivi di cui almeno il 90% causato da frane e valanghe,
dalle condizioni ambientali o da malattie dovute all'altitudine.
Un dato che conosciamo anche rapportandolo alla prima guerra
mondiale. Il fronte austro-italiano nasce in riva al mare
Adriatico, tra Monfalcone e Duino e si estende poi per circa 650
chilometri fino alla vetta del monte Ortler, metri 3.905, allora
la montagna più alta della Duplice Monarchia. Tolto il tratto
che va dalla costa a Tolmino, circa 50 chilometri in linea
d’aria, il resto è montagna, più o meno alta, ma sempre
montagna. Prealpi e Alpi Giulie, Alpi Carniche, Dolomiti, la
zona degli Altopiani per salire poi attraverso il Lago di Garda
e una delle zone meno note della guerra in montagna in direzione
del Tonale proseguendo poi fino alle cime più citate il Corno di
Cavento, il Carè Alto, il Cevedale o il San Matteo in direzione
delle quote più elevate del confine di allora. Perseguire per
anni lo scopo di conquistare cime sembra, nell’ottica di oggi,
una cosa assurda, una inutile fatica e uno spreco di uomini. Ma
nell’ottica militare di allora aveva un senso, dato che le valli
erano più o meno sbarrate da forti e opere permanenti oltre a
essere rese inaccessibili dalle artiglierie poste sulle cime
circostanti. Così l’attenzione si spostò dallo sfondamento in
pianura a un lento aggiramento conquistando o tentando di
conquistare una cima dopo l’altra. La stessa sesta battaglia
dell’Isonzo, combattuta al fronte isontino riesce alla fine
proprio perché gli italiani occuparono le cime: il san Michele,
metri 275, il Podgora, metri 241, il Sabotino, metri 609,
aprendo la via verso Gorizia. Cime basse, se confrontate a
quelle della catena alpina, ma altrettanto importanti per
liberare una possibile via di penetrazione. La guerra in
montagna causò una infinita serie di lutti. Una stima fatta da
Heinz von Lichem riguardante la somma dei morti di ambedue i
contendenti parla di circa 180.000 morti, dei quali 60.000 per
valanga, altrettanti per malattie, stenti, privazioni e
sfinimento. Solamente, se così si può dire, l’ultimo terzo è
morto in combattimento. Per quanto possa sembrare impossibile la
sola notte tra il 12 e il 13 dicembre 1916, passata alla storia
come Santa Lucia Nera, vide 6.000 morti per valanga tra i soli
austriaci e circa 4.000 tra gli italiani; di quella terribile
notte si ricordano episodi che videro i due contendenti
rifugiarsi assieme o assieme scavare per liberare i compagni
sepolti. Una sola notte, senza guerra: 10.000 vittime. Come
tutto questo riguarda una mostra come Uno sguardo dal Litorale –
Pogled s Primorja e le storie dei nostri nonni? Molto da vicino
e non solo per la guerra al fronte giulio - carnico, ma anche
nei settori più lontani, che conobbero l’impiego di reparti o
singoli soldati provenienti dal Litorale. Ricordiamo, per fare
un esempio, la 38^ Compagnia di Marcia del KUK IR 97, impiegata
in Tirolo nel 1918 nei trasporti in montagna, o i caduti sepolti
nei vari cimiteri o ricordati nelle cappelle delle alpi Giulie e
Carniche, come il soldato triestino Cesare Bartolini impegnato
in un corso mitraglieri ed impiegato, come dice la memoria, nel
combattimento a Nord di Plöcken dove è caduto il 20 giugno
1915, o il membro di una Battaglione di Tracomatosi, impegnato
sulla dorsale carnica e ricordato in una lapide posta nella
cappella vicino al rifugio Steinwender, ora rifugio Zollnersee,
metri 1750, in Austria. I reparti reclutati nel Litorale vennero
coinvolti in diversi episodi della guerra alpina: ricordiamo
l’impiego del II Battaglione del V. Landwehr (dal 1917 V.
Schützen) a Cima Cece, metri 2.754, nella catena del Lagorai; i
caduti di questo reggimento, originariamente sepolti a Ziano di
Fiemme dovrebbero ora riposare nell’ossario del Pordoi, dopo la
dismissione del piccolo cimitero. Il LIR 27, poi Gebirgsschützen
Regiment Nr. 2 sul Monte Rombon, il KUK IR 17 sugli Altopiani,
il Feldjäger Bataillon Nr. 7 sull’Ortigara – Campigoletti. Ma
non basta. Anche cause di lontani eventi riescono a toccare i
reparti del Litorale: il 2016 è anche l’anno del centenario
della Maj Offensive, nota in Italia come Strafexpedition, la più
grande battaglia mai combattuta in zona montana che portò le
truppe della duplice monarchia a un passo dallo sfondamento del
fronte; per fermare l’avanzata venne chiesto a gran voce l’aiuto
della Russia, che organizzò la così detta offensiva Brusilov,
offensiva che costrinse gli austro ungarici a spostare numerosi
reparti dal Südwestfront (quello austro italiano) a quello
orientale, fermando di fatto l’avanzata verso la pianura veneta.
Ma non solo, nel corso della offensiva Brusilov il reggimento 97
si trovò direttamente sulla direttrice di marcia dei russi,
subendo molte dolorose perdite di concittadini e corregionali.
Storie e fatti mai disgiunti, mai a caso, narrati nel nuovo
allestimento.

Video e montaggio Claudio Sepin
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